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martedì 8 febbraio 2011

CRONACHE EGIZIANE: la testimonianza di una giovane ragazza egiziana che dal Cairo racconta una rivoluzione destinata a cambiare la storia del Medio Oriente

Quella che segue è una preziosa e toccante testimonianza sulla crisi che sta scuotendo l’Egitto, dove il regime del presidente Hosni Mubarak, al potere da ormai trent’anni, sembra avere i giorni contati. Il valore aggiunto di questo testo, una coinvolgente cronaca delle sommosse arricchita da interessanti considerazioni di carattere politico, è che giunge direttamente dall’Egitto, più precisamente dal Cairo, l’epicentro della rivolta. Altro suo pregio è che si tratta di un reportage scritto da un egiziano, o meglio, da una giovane ragazza egiziana, ex studentessa di scienze politiche ora impiegata nel settore della cooperazione internazionale. Questa giovane cittadina egiziana, fiera del suo popolo insorto contro l’oppressione ma preoccupata per gli sviluppi della crisi in atto, ha sentito l’esigenza di rendere tributo al coraggio dei manifestanti che da settimane sfidano il regime di Mubarak. A tale fine ha deciso di raccontarci la crisi egiziana come da lei percepita durante queste giornate cruciali per le sorti dell’Egitto. TO READ THE ORIGINAL VERSION IN ENGLISH CLICK HERE

Cos'è successo in Egitto?

Il Cairo, 2 febbraio 2011 - Ho deciso di scrivere un reportage su ciò che è successo in Egitto nei giorni scorsi. Questo pezzo sarà un ibrido tra la cronaca e un’analisi personale. Per le mie osservazioni ho attinto da riflessioni provenienti da amici, familiari ed intellettuali. Farò del mio meglio per non risultare troppo emotiva, ma non posso promettere un’assoluta oggettività. E' l'unico contributo che posso portare al mio paese, l'Egitto; le parole sono l'unico strumento a mia disposizione per far conoscere al mondo la verità sulla crisi egiziana. Dunque la grande domanda è: che cos'è successo?

Dopo la Rivoluzione del Gelsomino che ha causato la fuga di Zine El-Abidine Ben Ali dalla Tunisia, si sono verificati, a mio modo di vedere, due eventi significativi: innanzitutto ho notato che la reazione dei miei amici su Facebook era molto intensa, sentita, e del tutto favorevole ai dimostranti; secondo, si sono ripetuti cinque tentativi di auto-immolazione al Cairo (di fronte al parlamento egiziano) e ad Alessandria come forma di protesta contro l’aumento dei prezzi e l’insufficienza dei salari. Nei giorni tra il 20 ed il 24 gennaio 2011 la maggior parte dei miei amici ha cambiato le foto del profilo di Facebook, inserendo la bandiera della Tunisia, segnale allarmante; ciò che è ancora più significativo, ho ricevuto l'invito ad un evento, cioè alle dimostrazioni del 25 gennaio, festa nazionale delle forze di polizia. I creatori dell'evento volevano inviare un segnale di sfida al regime, avvertendolo del fatto che le violenze e le torture di cui era stato recentemente responsabile non li spaventavano; l’oppressione sarebbe stata contrastata, oltre che denunciata globalmente. Ho esitato a lungo sull'opportunità di accettare o meno l'invito, soprattutto perché avevo sentito che le forze di polizia egiziane usano falsi profili su Facebook per cercare di individuare coloro che sono coinvolti in attività politiche ostili al regime. In ogni caso conoscevo un certo numero di coloro che avevano accettato l'invito e molti di questi sono miei amici personali dai tempi del liceo, e lo stesso organizzatore dell'evento era un mio vecchio compagno di classe. Questo mi ha rassicurato sulla credibilità dell'evento, dal momento che partiva da studenti di scienze politiche: non si trattava di qualcosa di avventato.

La crisi

1° giorno: martedì 25 gennaio, il Giorno della rabbia

Fino alla sera di lunedì 24 gennaio tutto scorreva normalmente, e martedì 25 sono stata a casa dato che era un giorno di festa nazionale ed ero del tutto assorbita da questioni familiari. Ma la sera sono venuta a sapere con sorpresa che le proteste erano state di dimensioni del tutto inaspettate, e una mia amica mi ha chiamato per raccontarmi la giornata; era molto sorpresa quando ha appreso che ero rimasta a casa e non avevo partecipato alle manifestazioni.

2° giorno: mercoledì 26 gennaio

Il giorno seguente, mercoledì 26, sono andata a lavorare normalmente e quando ho chiesto informazioni al personale preposto alla sicurezza del mio posto di lavoro mi è stato detto che i dimostranti erano andati a dormire solo alle 3 di mattina. Nel percorso verso il lavoro non ho visto alcuna traccia della manifestazione, e non a caso i miei amici commentavano il fatto che piazza El Tahrir era diversa da come si sarebbe presentata normalmente in seguito alle dimostrazioni che si tengono in un contesto più ordinario. Dicevano che le forze di sicurezza avevano ordinato ai manifestanti di disperdersi ed avevano provveduto a pulire tutto, ma non avevano avuto abbastanza tempo per ripulire i muri dai graffiti (“Abbasso Mubarak” andava per la maggiore). Verso le 15.50 ho notato una certa agitazione e sono rimasta sorpresa nel vedere il presidente del centro dove lavoro prendere la sua valigetta ed andare a casa, dicendoci di fare lo stesso altrimenti il personale addetto alla sicurezza del nostro stabile e del Ministero dell'Interno avrebbe chiuso l’edificio lasciandoci dentro. Così anch'io ho raccolto la mia roba e sono andata al piano di sotto; qui ho trovato gli autobus pronti a caricarci tutti per portarci il più possibile vicino a casa, visto che i dimostranti sarebbero tornati e sarebbero rimasti tutta la notte. Uscendo dal nostro stabile, che è collocato esattamente di fronte al parlamento egiziano e di fianco al palazzo del governo (con solo un grande giardino a separarli), ho visto i poliziotti e le forze di sicurezza speciale del Ministero dell’interno, alcuni di loro erano in abiti civili, altri tenevano in mano dei manganelli (come se fossero preparati per attaccare i manifestanti), circondavano l'area, e la strada era stata deviata in un'altra direzione in modo che non portasse a piazza El Tahrir. Così sono rientrata a casa, e per la strada ho chiamato tutti quelli che conosco per controllare come stavano, per dir loro di evitare il centro, e di andare a casa direttamente perché ci sarebbe stato un altro giorno di sommosse; comunque, fino a quel punto l'atmosfera generale non dava quei segni di pericolo che avremmo visto nei giorni successivi.

Le dimostrazioni violente non sono un fatto inusuale per chi vive al Cairo, ma quest’ultima, per durata e dimensioni, rappresenta qualcosa di nuovo, e credo sia innegabile il legame con le rivolte tunisine. Ero nuovamente allarmata; sapevo che i manifestanti miravano a restare tutta la notte in piazza a reclamare, e che il slogan della protesta era “La gente vuole che il regime cada”. Nessuno si sarebbe mai sognato di sentire parole tanto insolenti uscire dalla bocca del popolo egiziano, perché, molto semplicemente, non abbiamo mai avuto un presidente che abbia lasciato il potere se non da morto. Personalmente ho provato ansia ed agitazione per tutta la mattina, e mi sono sentita colpevole quando ho chiamato la mia migliore amica e mi ha detto che era già in piazza El Tahrir e che stava bene. Mi sentivo in imbarazzo con me stessa per non aver partecipato alle proteste e per il mio mancato contributo al processo di cambiamento nel mio paese. Dunque la sera ero di nuovo a casa su Facebook, stavo cercando di inserire delle note sulla protesta e anche il messaggio di un ragazzo tunisino che dava consigli ai manifestanti egiziani su come sfuggire ai lacrimogeni e riportava altri trucchi usati dai tunisini nella loro rivoluzione. A quel punto mi sentivo totalmente felice per quello che stava accadendo, pensando che fosse una vera rivoluzione giovanile, un movimento genuino per il cambiamento. Stavo facendo del mio meglio per dimostrare la mia solidarietà rispetto al movimento. Alle 18.30 la mia migliore amica mi ha chiamato e mi ha detto che avremmo dovuto boicottare i principali servizi di telefonia mobile e spegnere i nostri cellulari per due ore come reazione alla decisione del governo di tagliare la linea a coloro che si trovavano ad El Tahrir durante la protesta e che ora erano dunque senza contatti con le loro famiglie ed amici. Ho spento il mio cellulare dalle 19.00 alle 21.00 ed ho incoraggiato la mia famiglia a fare lo stesso in segno di solidarietà. Allora la tv nazionale, come sempre, stava trasmettendo le notizie in una versione favorevole al governo, cioè minimizzando la reale portata dell’evento.

3° giorno, giovedì 27 gennaio

Giovedì 27 mia madre ha insistito perché non andassi al lavoro, data l’ubicazione del mio ufficio e considerato che sul mio tesserino fa bella mostra di sé la scritta in grassetto “Governo egiziano”, che evoca il prestigio del potere centrale e rappresenta una forma di intimidazione!
La mia famiglia sarebbe stata in pensiero per me se fossi andata al lavoro o se avessi preso l’autobus diretta verso il centro. Verso mezzogiorno ho chiamato un altro amico per sapere come stava, e mi ha detto che le cose erano molto tranquille quel giorno e i dimostranti sarebbero andati a casa a riposare e sarebbero tornati a protestare il giorno seguente. Inoltre mi ha avvertito che questo venerdì sarebbe stato il grande giorno, ed effettivamente è stato l’apice della crisi. Ero determinata a raggiungere i manifestanti il venerdì e non perdermi la chance di testimoniare questo grande momento della storia contemporanea egiziana, e ho chiamato la mia migliore amica per chiederle di venire con me. I media internazionali stavano incoraggiando il presidente egiziano e il suo regime a non usare la forza contro i manifestanti, dopo aver mostrato gli scontri tra le forze di polizia e i dimostranti e aver comunicato il crescente numero di feriti. In ogni caso, gli organizzatori delle proteste avevano già annunciato che per quanto li riguardava le manifestazioni di venerdì sarebbero state pacifiche. Quella sera una piccola marcia è passata vicino a casa mia, saranno state non più di 50-100 persone, la mia famiglia è rimasta colpita positivamente da quell’episodio, dal momento che vivo in un’area residenziale e commerciale al Cairo est, a un’ora dal centro.

4° giorno, venerdì 28 gennaio, il Venerdì della rabbia: il culmine della crisi

Il 28 le dimostrazioni sono ricominciate verso mezzogiorno, ma solo dopo la tradizionale e importante preghiera del venerdì, e non solo a piazza El Tahrir ma in ogni singolo angolo dell’Egitto, e una lunga marcia è passata sotto casa nostra portando una lunga bandiera dell’Egitto, e abbiamo sentito che c’erano marce attraverso tutto Il Cairo, in ogni area residenziale, ricca o povera, così come in ogni altra città egiziana, accomunate dalla richiesta di lasciare il potere rivolta a Mubarak. Verso le 15.00 abbiamo iniziato a percepire che gli scontri tra i dimostranti e la polizia diventavano più feroci e ho avvertito la sensazione che la polizia avesse perso il controllo della situazione, specialmente ad Alessandria e Suez; ci è giunta la voce che se la polizia non fosse riuscita a mantenere l’ordine presto sarebbe stato schierato l’esercito. Poi le cose sono degenerate repentinamente e il numero di dimostranti a piazza El Tahrir si diceva avesse raggiunto cifre enormi, probabilmente attorno ai 400.000 dimostranti. Verso le 16.00 la situazione era totalmente fuori controllo per le forze di polizia e quello è il momento in cui ho visto le immagini delle sedi del Partito Nazionale Democratico, il partito principale del regime, date alle fiamme, e abbiamo sentito che un certo numero di stazioni di polizia erano state attaccate e incendiate. Verso le 17.00 si è visto in televisione l’esercito entrare in piazza El Tahrir e sapevamo che gli edifici del governatorato di Alessandria erano stati completamente bruciati e distrutti. Verso le 17.15 le forze armate hanno ordinato il coprifuoco dalle 18.00 alle 7.00. Ora immaginate una situazione come questa: far rientrare a casa 20 milioni di persone in 45 minuti in una metropoli come Il Cairo dove mediamente il rientro a casa richiede almeno un’ora e mezza! E in circostanze come queste! Con mezzo milione di persone che manifestavano pubblicamente, e che occupavano il più grande nodo del traffico nel cuore del Cairo?!
Ad ogni modo, fino alle 20.00 le televisioni trasmettevano le immagini di auto ancora incastrate nel traffico nel tentativo di raggiungere casa, e i leader mondiali erano invischiati in una posizione che definirei di “tiepida cautela”, cioè cercavano di prodursi in dichiarazioni a sostegno dei diritti dei popoli all’autodeterminazione, alla libertà di espressione, di parola, di informazione, di riunione, denunciavano la violenta repressione contro i manifestanti e così via, ma allo stesso tempo non esprimevano alcuna opinione decisa a proposito della sopravvivenza del regime di Mubarak stesso. E a mio modo di vedere questo atteggiamento ha messo i leader internazionali in una posizione imbarazzante, il regime si trovava in un punto di non ritorno ma nessuna delle maggiori potenze mondiali aveva il coraggio di dichiararsi favorevole alla sua sostituzione, perché temeva per la stabilità e la sicurezza della regione.
Quella che si è verificata in seguito è stata la totale distruzione di ogni simbolo del potere statale, dalle stazioni di polizia al Cairo, Alessandria e altre città, agli incendi degli edifici delle corti di giustizia, includendo con ciò la distruzione indiscriminata di molti atti giudiziari. Poi il mio cuore si è letteralmente fermato quando ho letto su Al Jazeera news che le fiamme minacciavano il Museo Egizio e che qualcuno stava tentando di rubare la sua collezione. Questo è il Museo dei tesori dell’Egitto faraonico, che non solo rappresenta il bene di ogni egiziano in termini d’identità e cultura ma anche la fonte di sostentamento di milioni di egiziani che lavorano nel settore del turismo. Poi le distruzioni hanno raggiunto un livello inimmaginabile, ogni minuto la televisione trasmetteva nuove immagini di edifici bruciati, distrutti e derubati, incluso il Ministero degli Affari Esteri, la torre della televisione (entrambi collocati in un punto privilegiato, con una magnifica vista sul Nilo), hotel a cinque stelle, ipermercati e molti centri commerciali, negozi, altri palazzi storici, ed ero totalmente confusa sulle ragioni per le quali i miei amici, i miei colleghi e la mia generazione fosse legittimata a fare tutti questi danni per lanciare un messaggio al governo. Non capisco perché alcuni egiziani volessero distruggere i tesori nazionali e la loro storia con le loro stesse mani.

30.000 prigionieri in libertà

Poi il più grande shock è venuto quando abbiamo saputo che alcune prigioni erano state abbattute e che i fuggitivi erano lasciati in libertà! Si trattava di prigionieri di tutti i tipi, dai prigionieri politici legati alla Fratellanza Musulmana, a Hamas o a Hezbollah, ai normali assassini e ladri. A quel punto ho capito che c’erano forze esterne dietro alla crisi e alla distruzione e che le dimostrazioni non erano più controllate dalla rispettabile gioventù che conosco.

Il dilemma della comunità internazionale

Tenterò ora una breve analisi delle reazioni politiche registratesi all’apice della crisi. In quel momento la comunità internazionale, cioè i leader degli Stati Uniti, del Regno Unito, della Francia, della Germania, della Turchia e di Israele, ma anche delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea, erano incapaci di mostrare una qualsiasi opinione decisa rispetto a quello che stava accadendo sulla scena egiziana, dove l’esercito si stava schierando dalla parte del presidente, ma allo stesso tempo fungeva da difensore dell’incolumità dei cittadini. La crisi ha mostrato il peso dell’Egitto in Medio Oriente e nel mondo sotto due aspetti: innanzitutto, va rilevato che concretamente non è intervenuto nessun agente esterno all’Egitto, considerate la forza e la complessità del sistema politico e sociale egiziano, difficile da penetrare; in seconda istanza, si è osservato il chiaro fallimento dell’azione degli Stati Uniti tesa a risolvere la crisi a loro favore, insuccesso manifesto se si guarda alla paralisi dell’intera comunità internazionale, se si considera che nemmeno una singola riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza è stata convocata per risolvere la crisi e non è stata elaborata nemmeno una risoluzione. Tali impressioni sono confermate dalla debolezza e dalla mancanza di decisione riscontrabili nel discorso di Hilary Clinton.

Due notti di terrore e i gruppi locali di difesa

Quello che abbiamo vissuto durante la serata di venerdì è stato una sensazione di mera insicurezza e paura, dopo la fuga dei prigionieri e l’inizio dei loro attacchi in tutto il paese, specialmente nei ricchi quartieri dei sobborghi del Cairo, dove famiglie appartenenti a classi medio alte vivono in ville sprovviste di servizi di sicurezza e circondate da ampi viali cui è facile accedere. Abbiamo sentito che i criminali hanno rubato ambulanze, moto, e anche macchine della polizia e le hanno usate come mezzo di camuffamento così da poter accedere indisturbati in questi quartieri nonostante il coprifuoco, che effettivamente concede solo ad ambulanze, militari e giornalisti di guidare attraverso la città. Poi la gente ha iniziato a raccogliere qualsiasi oggetto che potesse fungere da arma per proteggere le strade, e a costruire le barricate per prevenire gli attacchi da parte dei fuggitivi. Gli uomini del mio quartiere hanno iniziato a controllare ogni mezzo che passava in zona, e sono riusciti a catturare dei ladri che si aggiravano nelle vicinanze. Mai come quella notte ho provato la sensazione della paura. Gli amici, che ci chiamavano sul telefono fisso perché internet e cellulari erano bloccati, ci consigliavano di prendere ogni precauzione, avvertendoci che molte aree erano già state attaccate e derubate. Ho visto giovani e anziani della nostra strada raccogliersi sotto il nostro condominio con bastoni di legno, oggetti metallici di ogni sorta improvvisati come strumenti di difesa; pattugliavano le strade per osservare ogni persona o movimento sospetti, accendevano fuochi per illuminare la strada, e alzavano barricate per proteggere le loro case, e anche la mia.

Dimenticavo che alle 16.00 il canale nazionale ha annunciato che il presidente avrebbe tenuto un discorso alla nazione; alla fine questo è arrivato con notevole e comprensibile ritardo visto il caos e le distruzioni che hanno caratterizzato le ultime ore. Solo alle 00.30 Hosni Mubarak ha parlato al popolo egiziano, tenendo un discorso troppo debole rispetto alla rilevanza degli eventi. Si è detto rammaricato per quello che stava succedendo e ha rivelato che ci sono attori esterni che giocano un ruolo importante nei disordini; alla fine ha chiesto al governo di dimettersi, a dispetto delle attese del pubblico che credeva che avrebbe alternativamente accettato di lasciare la presidenza o deciso di sciogliere il parlamento. Dopo un lungo silenzio ha dunque reso noto che il governo sarebbe stato il suo capro espiatorio. La reazione della strada, com’è ovvio, è stata negativa, nessuno era soddisfatto. La rabbia è scoppiata anche per la fuga dei 30.000 prigionieri verificatasi a causa del ritiro della polizia.

5° giorno, sabato 29 gennaio

Il mattino seguente, sabato 29 gennaio, mio cognato, ufficiale dell’esercito, ha portato mia sorella e il suo bambino a stare a casa nostra, perché è stato chiamato dalla sua unità e non sapeva quando sarebbe tornato. Allo stesso modo mio fratello è rimasto con i suoi suoceri, tutti stavano con le loro famiglie, i parenti, e tutto scivolava verso l’ignoto. Siamo rimasti a casa a seguire i telegiornali che riportavano gli sviluppi della crisi. Verso mezzogiorno il presidente ha annunciato il suo nuovo vice e il subentrante primo ministro. La tv nazionale ha anche mostrato il capo dell’esercito in un incontro con il presidente e con il nuovo vice-presidente, sottolineando che l’esercito non avrebbe voltato le spalle al presidente, con il quale era in totale armonia. Tutto il giorno abbiamo seguito le notizie da Al Jazeera, dalla BCC, dalla CNN e dal canale arabo della BBC, ed eravamo irritati dal loro modo di stilizzare le notizie e darle in pasto all’opinione pubblica apposta per far crescere nella gente la rabbia contro il regime.
Inoltre i giornali quel giorno hanno pubblicato tutti i retroscena della distruzione delle carceri; così come centinaia di manifestanti sono state ferite durante le proteste, anche centinaia se non migliaia di rispettabili poliziotti sono stati UCCISI quando i beduini hanno fatto irruzione nelle carceri con i bulldozer COSTRINGENDO i prigionieri alla fuga.

Il mio cuore era sinceramente afflitto quando ho visto nei giornali i corpi di tutti quei rispettabili poliziotti crivellati di colpi e ridotti come colapasta sotto i colpi dei beduini. Non c’è bisogno di dire che questi agiscono sotto il comando di forze esterne, che vanno da paesi “amici” ai paesi nemici della regione. Una cosa evidente, è che tutti quei prigionieri politici che sono stati liberati rappresentano per qualcuno il target primario. Così, uno dei fuggitivi ha chiamato Al Jazeera e ha iniziato a parlare a nome dei Fratelli musulmani; le autorità egiziane hanno reagito tagliando la trasmissione di Al Jazeera, così in quel momento ci siamo trovati contemporaneamente sotto un coprifuoco esteso, tagliati fuori dalle reti telefoniche mobili e da internet, e non potevamo più vedere Al Jazeera. Non che io sia innamorata di quest’emittente, ma per farvi capire come ci siamo sentiti quando abbiamo capito di essere tagliati fuori dal mondo. Per me, la BBC araba era tanto irritante quanto Al Jazeera, se avessi voluto, avrei potuto tentare di ripristinare Al Jazeera attraverso il satellite Hotbird o avrei potuto sintonizzarmi su Al Jazeera International, ma l’una vale l’altra. Comunque quella tra sabato o domenica è stata un’altra notte di paura, abbiamo sentito spari e seguivamo i nostri uomini camminare su e giù per la strada tentando di catturare i ladri. Inoltre, ogni cinque secondi ricevevo una telefonata da uno dei miei amici che mi chiamava per raccontarmi dei ladri catturati in altri quartieri.

6° giorno, domenica 30 gennaio: nuovo governo, stessi ministri!

Un nuovo governo si è insediato domenica 30 e ciò non ha fatto che scatenare nuovamente la rabbia, essendo il “nuovo” governo composto per almeno la metà dei suoi membri da esponenti del governo precedente. Quanto è stupida questa mossa? Ovviamente i manifestanti conoscono i membri del vecchio governo, e hanno annunciato una grande marcia, la Marcia del Milione, per martedì. La televisione nazionale a quel punto stava diffondendo la richiesta di affrontare innanzitutto la questione sicurezza, e poi il lato politico della crisi. La dimensione delle perdite nell’economia egiziana era senza precedenti, si calcola si siano bruciati 40 miliardi di dollari americani. Osservatori ed economisti legati al regime hanno affermato che ogni giorno di protesta conta quanto un intero anno di lavoro e un altro anno di riforma. Il Fondo Monetario Internazionale ha offerto il suo aiuto all’economia egiziana una volta che la leadership fosse stata in grado di prendere decisioni (beh, grazie mille, caro Fondo Monetario Internazionale!).
 
7° giorno, lunedì 31 gennaio

Non c’è bisogno di dire che i giorni ci sembravano legati l’un l’altro e che non si poteva ben distinguere il giorno dalla notte, così lunedì 31 la rabbia per la formazione del nuovo governo è divampata nuovamente e i giovani hanno iniziato ad annunciare per il giorno successivo la Marcia di un Milione di persone verso Eliopoli, dove si trova la residenza di Mubarak, per chiedergli di dimettersi. Tutti gli altri cercavano di capire la posizione di Mohamed El Baradei e la tv nazionale e i telegiornali erano concentrati principalmente sui temi del recupero della pace e della sicurezza, nonché sulla necessità di ripulire le città e cancellare le tracce di fuochi, distruzione e danni. Così verso mezzogiorno gli uomini della nostra strada stavano pulendo l’immondizia lasciata per una settimana lungo la strada e questo è quello che stava succedendo in ogni angolo dell’Egitto. Aggiungete a questo il fatto che tutti i gruppi di difesa locale, così come sono stati ribattezzati, sono riusciti a restituire alla polizia molti degli oggetti rubati e che le moschee sono state usate come punto di raccolta. Molto significativo è che le forze di polizia sono state schierate nuovamente lungo le strade egiziane, mentre erano scomparse totalmente nei due giorni precedenti. Comunque, la gente si stava già preoccupando per la scarsità nell’approvvigionamento del cibo come risultato della chiusura dell’economia per diversi giorni; questo che ha portato a una domanda massiccia di pane, verdura, carne e altri alimenti di prima necessità, con lunghe code presso le stazioni di benzina.

8° giorno, martedì 1 febbraio: la Marcia del Milione (dei milioni?)

Martedì 1 febbraio già dalla mattina presto stavamo seguendo l'aumento del numero di manifestanti a piazza El Tahrir e speravamo che non avesse luogo alcuno scontro tra i dimostranti e il personale della sicurezza (sia esercito che polizia) perché non volevamo che nessun egiziano uccidesse i propri fratelli. Nessuno voleva che si spargesse il sangue di un milione di giovani egiziani. L’atmosfera si è surriscaldata e ancora una volta abbiamo atteso una reazione forte del presidente o del nuovo vice, notando che negli ultimi giorni avevamo sentito un discorso del capo del parlamento in cui prometteva che avrebbe accettato la decisione della corte suprema deputata a indagare sui brogli verificatisi durante le ultime elezioni. Alla fine, verso le 23 è arrivato il discorso di Mubarak, in cui affermava che non si sarebbe ricandidato per le elezioni e che avrebbe aperto i canali del dialogo con tutte le forze dell’opposizione e che avrebbe ordinato alle corti di investigare sui motivi per i quali forze di polizia si erano ritirate drasticamente e su che cosa avesse portato allo stato di insicurezza e caos che gli egiziani avevano sotto gli occhi. Ha anche parlato di se stesso come un uomo che ha servito per tutta la vita, l’Egitto. Personalmente ho trovato rispettabile questo discorso rispetto al primo e sono rimasta toccata dalla sua insistenza sull'intenzione di morire nella sua terra e dal coraggio di affrontare la contestazione e non lasciare il paese.

9° giorno, mercoledì 2 febbraio: la battaglia di Tahrir

Oggi 2 febbraio, mercoledì, un nuovo gruppo è apparso, i pro-Mubarak, cioè quelli che reclamano la stabilità immediata, che sostengono che il paese si debba rialzare dopo i giorni di crisi e che si oppongono ai dimostranti non soddisfatti delle ultime aperture. La cosa strana in tutto questo è che non sappiamo a cosa condurrà questa contrapposizione: sono forse le prime avvisaglie di una guerra civile in Egitto? Abbiamo assistito a scontri tra i due gruppi per tutto il giorno e siamo rimasti incredibilmente spaventati dalla vista di egiziani che gettavano pietre su altri egiziani. L'unica cosa positiva che è successa oggi è stata la dichiarazione del ministro degli esteri che ha rifiutato esplicitamente il consiglio del presidente americano di iniziare la transizione pacifica del potere "ora". E' una delle poche volte in cui la diplomazia egiziana prende posizione in modo così netto e risoluto contro l'unica superpotenza del pianeta. Ora sono le 19.55 e sto testimoniando un altro picco della crisi; le forze armate hanno mandato un sms a tutti i manifestanti che si trovano a El Tahrir chiedendo loro di evacuare immediatamente la piazza poiché secondo alcune voci essa sarà bruciata, inclusi i dimostranti. Tutto rimane incerto.

Ho raccontato tutto ciò cui ho assistito finora. Prego per il mio Egitto e chiedo a voi tutti di pregare per noi.

S. A.

Traduzione e redazione a cura di Mattia Corbetta

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